L’altra sera sono stata al cinema con la mia amica Manu a vedere il film Tre ciotole, tratto dall’omonimo libro di Michela Murgia.
Rispetto al libro, che è un insieme di racconti, il film ha una trama unica, in cui vengono inserite citazioni o passaggi dai racconti.
Si tratta della fine della storia d’amore tra Marta e Antonio: lui la lascia inaspettatamente dopo sette anni e lei comincia a star male. Scoprirà di essere malata di cancro, ma dopo i primi momenti di disperazione, Marta cerca di ritrovare se stessa (nei monologhi con la sagoma di cartone della star coreana) e di reimmergersi nella vita, anche più di quanto non avesse fatto fino a quel momento.
Nelle relazioni con gli altri (le due studentesse, la giovane collega di Antonio, il prof. di filosofia, sua sorella), Marta offre il suo piccolo ma grande contributo, mette se stessa, e arriva a comprendere che comunque la vita vale la pena di essere vissuta per ogni piccolo particolare (come un mosaico che si vede dietro di lei mentre si gusta un gelato, assapora la vita appunto) e che non bisogna sprecare il proprio tempo nelle cazzate.
Senza il dolore per la fine della storia d’amore che credeva eterna e per la scoperta del male incurabile, Marta non si sarebbe resa conto di tutto questo e quando lo mette a fuoco, cerca di condividerlo con le persone che incontra.
Più dei passaggi sulla malattia e dell’abbraccio pacificatore ma disperato con l’ex, mi ha commosso quella scena dell’ultimo bacio: segno dell’attaccamento alla vita, all’amore, alla gioia delle relazioni.
E poi, sui titoli di coda, finalmente quella barzelletta di Antonio, che ci fa ridere nel pianto.
Apparentemente semplice ma profondamente umano.